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in silenzio via per le verdi plaghe già rifiorenti d’allori invidiati ai nuovi corifei del classicismo trionfante, l’antico trovatore delle Alpi, preso da uno strano e malinconico desiderio d’esulare anch’egli alle beate sponde di Citera e d’Amatunta, sospirerà:
Oh quando |
Ma gli attici campi e i roseti dell’Ellade ch’egli sogna, somigliano ancor tanto alle antiche fragranti selve di Castelcampo e al verde pastoral Lomasone del suo Conte di Riga! E nell’ultimo canto dell’Iside, quando non più di quattro anni rimanevano all’uomo di qua dal sepolcro, e due appena di vita al poeta, la Parca che viene a cantare nell’ombra dello stambugio ov’ei protraeva l’età sua moribonda, eppur non vecchia, ben gli annunzia
L’amaro verno coi dì solinghi, |
ben gli ricorda, menando senza tregua la sua spola fatale:
Di false glorie, di falsa pace, |
ma pur non è quella, no, la terribil Parca, che gelida protende la mano a ghermire un’ombra. Ella è pur sempre la bellissima giovinetta immortale, l’incantatrice Azzarellina, vestita di luce e di profumi, che invita al reame dei morti e alla trista landa il suo fedele, leggiadramente a lui promettendo:
“Sarò quel giorno biancovestita |