Pagina:Luisa Anzoletti - Giovanni Prati, discorso tenuto nel Teatro Sociale la sera dell'11 novembre 1900 per invito della Società d'abbellimento di Trento, Milano 1901.djvu/48

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                     divinando i prodi
Del dì venturo e salutando i fati
Del Lazio eterno

egli cessò di cantare, per quanti tra volgimenti d’idee e guerre di partiti, per quante catastrofi politiche scombuiassero la tempestosa nave d’Italia, la coscienza patriottica e il pensiero civile di Giovanni Prati, come la magnanima ombra di Farinata, non mutò aspetto — Nè mosse collo, nè piegò sua costa, giammai.

Giammai egli non dimenticò di essere figlio d’Italia; giammai non ebbe paura di confessarsi credente in Dio. Dalla prima all’ultima nota, sempre fe’ risonar nei multanimi inesausti concenti della sua lira, l’accordo di questa triade armonica: la religione de’ suoi padri, l’amore della sua patria, l’italianità del suo genio.

E, non vergognarsi d’adorare Iddio, quando il positivismo e il naturalismo ateo dappertutto trionfava; serbar libera da qualsivoglia asservimento alla moda la propria arte, quando il classicismo e tutte le imitazioni falsificavano l’arte italiana, e il realismo dappertutto la esibiva vituperosamente ne’ suoi voluttabri; non cessar mai di poetare un unico supremo ideale patriottico, anche quando Padova non italiana, Firenze democratica e Venezia repubblicana cacciavano in esilio e in prigione il poeta, tutto ciò, o signori, è prova d’innata fermezza d’animo, di strenuo coraggio civile, di grande lealtà di carattere.

Si conceda pure che in un’ode, che in una ballata manchi il Prati di unità organica e di logica concordanza nello stile e nella condotta. Ma non si potrà mai dire che manchi d’unità morale e di coerenza ideale la sua ispirazione.

E questa immutabilità di pensiero, questa integrità di