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l’Italia, nel mar Rosso, avrebbe trovato le chiavi del Mediterraneo non fece altro che affermare cose impossibili a realizzarsi, non solo allora, ma anche nell’avvenire lontano. Andare in Mediterraneo, attraverso il Sudàn, significava propriamente essere incoscienti, sempre parlando col dovuto rispetto.

Ma, poi, perchè l’Italia non poteva andare direttamente dal Mediterraneo al Mediterraneo? La via era più naturale e più breve. Ma l’espressione manciniana altro valore non poteva avere se non quello di una «fiche de consolation», per lo scacco di Tunisi e per il rifiuto troppo banale ed astratto della diretta participazione in Egitto. Le chiavi del Mediterraneo, infatti, si dovettero andare a ripescare nel 1911, proprio nel Mediterraneo, ossia nelle acque della Libia.

«Giuseppe Sapeto — dice il Cesari — deve essere annoverato fra i precursori italiani nella conquista del Continente Nero. E tanto più è doveroso questo tributo, poichè il Sapeto si spegneva a Genova dimenticato o tristemente associato alla sventura di Adua, il 25 agosto 1895». Egli aveva messo piede a Massaua nel 1838, proprio quando pochissimi Italiani sapevano della esistenza di questo villaggio; poi aveva visitato alcune regioni dell’Abissinia, intraprendendo in compagnia del padre Stella, che abbiamo già nominato di sopra, un ardimentoso viaggio, vale a dire quello di raggiungere l’alto Nilo, attraverso i Bògos, per la via di Chèren. La fede missionaria gli facilitava la via. Incaricato di trattare per conto di Napoleone III° la cessione di Zula ai Francesi, vi riuscí; ma, non avendo costoro mantenuti i patti, Zula ritornò nelle mani dell’Etiopia nel 1885.

Il Sapeto, tornato in patria quando questa era unita, si recò a Firenze per convincere il Menabrea ad acquistare una stazione commerciale nel Mar Rosso; il Re stesso,