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caso di estremo pericolo. Aggiungasi a ciò che tutti i capi abissini, o quasi, erano contro l’Italia, a cagion della loro mala fede, ma anche per l’incerto e spesso contradittorio procedere di questa Nazione. Inoltre, l’Italia non aveva ancora raggiunta una sufficiente maturità politica che le permettesse di resistere con ciglio asciutto agli eventuali colpi della sventura. Per farla breve, tra quella che il Palamenghi chiama incoscenza del Baratieri; tra l’impossibilità in cui si trovava il Governo di agire efficacemente e con esatta cognizione di causa, a tanta distanza; tra le non floride finanze; tra le campagne anti-africaniste della nuova demagogia; tra l’ostilità palese od occulta di alcune potenze e tra tutta quanta l’ostilità dell’Abissinia, caso quanto mai raro nella storia di quel paese, non c’era proprio da aspettarsi se non una sconfitta, sia pur gloriosa e fatta pagare a carissimo prezzo al nemico.

Le forze opposte, erano così squilibrate che ogni valore leggendario sarebbe dovuto soccombere dinanzi alla strapotenza del numero: come, infatti, avvenne il primo marzo 1896.

Il Governo italiano, presentendo quasi la minacciosa tempesta che s’addensava sull’Italia africana, tempestava con telegrammi il Baratieri, perchè comunicasse se gli occorrevano rinforzi: egli, tentennando, rispondeva che, ignorando le intenzioni dell’invasore, non poteva precisare. Ma l’invasore, questa volta, non poteva certamente pensare a ritirarsi come aveva fatto, pochi anni prima, il Negus Giovanni.

Nella battaglia di Adua, in cui rifulse il valore veramente eroico, seppur sfortunato, dei soldati italiani, gli Abissini erano oltre 100 mila e gli Italiani, che poterono prendere parte alla battaglia. meno di 15 mila: uno contro sei! Era troppo, anche ammettento che i servizi logistici fossero potuti funzionare regolarmente. Ora, in Africa,