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ovunque si vada, la questione logistica è di capitale importanza. E, tanto per limitarci all’Etiopia, diremo che gli Inglesi di Sir Roberto Napier, in una spedizione contro il re Teodoro, avevano condotto con loro 41 mila uomini, ventimila cavalli, settemila buoi, seimila cammelli e quarantaquattro elefanti per l’artiglieria. E tutto questo imponente corpo di spedizione per un esercito di cinquemila uomini e due cannoni.

Invece, alla vigilia della battaglia di Abba Garima, l’arrivo dei rinforzi, mandati, data l’urgenza, senza discernimento, ossia scegliendoli da questo o da quell’altro reggimento, da questo o da quell’altro corpo d’armata, non fece altro che peggiorare la non buona situazione logistica dei quindicimila Italiani, che, date le forze nemiche, sarebbero dovuti essere almeno cinquantamila. A proposito dei servizi logistici, basta un esempio a dare l’idea delle difficoltà: di tremila cammelli che occorrevano alle truppe operanti da Adi Caiè in avanti, ne esistevano soltanto duemilatrecento, ridotti più tardi a soli millesettecento. Dunque, la battaglia di Adua, conviene ripeterlo, non poteva non essere sfavorevole alla imprevidente giovane nazione, generosa ed impulsiva come tutti i giovani. Essa espiò le colpe della sua immaturità politica e sociale. Colpe, senza dubbio, collettive e singole, spiegabilissime, d’altronde, in un popolo propenso sovente ad accasciarsi per poco, ad esaltarsi per meno ancòra.

Gli eventi precipitarono e non fu possibile al Baratieri stesso, «sempre nemico del peggio», non comportarsi come si comportò, cioè da valoroso, anche se lo si volle accusare di averli precipitati, dopo che ebbe saputo della sua imminente sostituzione col generale Baldissera e, forse, in relazione allo stesso telegramma del Governo che chiamava i combattimenti immediatamente precedenti la batta-