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modesti e pacifici, perchè non è affatto vero che il Crispi fosse megalomane e guerrafondaio. Uomo di stato di alta levatura, preferiva ingrandire la patria sua, con pacifiche combinazioni e con accordi ancora più pacifici. Ma è certo che, impegnato che fosse l’onore nazionale, andava diritto con ammirevole energia e costanza, ben sapendo che, solo così, una nazione grande può guardare coraggiosamente e fiduciosamente l’avvenire.

La Somalia, che — come dice il Virgili — «È rimasta una delle grandi macchie bianche sulla carta geografica dell’Africa, sino al 1888», era già stata idealmente conquistata dall’Italia, perchè gli esploratori maggiori e migliori di quella terra africana erano stati gli Italiani.

Il ministro Mancini aveva per primo, avvalendosi dell’opera dell’esploratore Antonio Cecchi, intavolato trattative col Sultano di Zanzibar, Saìd Bargàsc, che era sovrano di una parte della costa della Somalia. Le trattative erano a buon punto, quando il Mancini abbandonò il potere; il successore di lui, Depretis, che aveva assunto l’interim degli Affari Esteri, prese atto dell’offerta di quel Sultano per la cessione all’Italia di alcuni porti del Benàdir ma, di concreto, non si potè far nulla, forse per gelosia dei consoli di Germania e d’Inghilterra.

Tuttavia il capitano Cecchi aveva firmato, per conto del Governo italiano, un trattato di commercio col predetto Sultano. Questo trattato, da lui ratificato nel 1885, fu a sua volta ratificato dal Parlamento italiano, un anno dopo.

Il sultano Saìd Bargàsc, temendo che la costa dei Somali, di sua pertinenza, cadesse in mano di qualche altra nazione europea, il 23 ottobre 1886, inviò dal console italiano a Zanzibàr, Filonardi, il suo medico e confidente, Dott. Gregory, il quale aveva il mandato di offrire all’Italia, mediante compenso, la rada di Chisimaio e la regione