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10 la merope


Chi se’tu? donde vieni? e dove i passi

pensavi indirizzar?
Egisto.   Di padre servo
povero i’ sono e oscuro figlio, i’ vengo
d’Elide e verso Sparta il piè movea.
Ismene.   Che hai, regina? Oimé quali improvvise
lagrime ti vegg’io sgorgar dagli occhi?
Merope.   O Ismene, nell’aprir la bocca ai detti
fece costui col labbro un cotal atto,
che ’l mio consorte ritornommi a mente,
e me ’l ritrasse si com’io ’l vedessi.
Polifonte.   Or ti pensavi tu forse che in questo
suolo fosse a’ sicari ed a’ ladroni
a posta lor d’infuriar permesso?
E ti pensavi che poter supremo
or qui non fusse e ch’io regnassi in vano?
Egisto.   Né ciò pensai, né a far ciò che pur feci
empia sete mi spinse o voglia avara.
Anzi a chi me spogliare e uccider volle
per mia pura difesa a tôr la vita
i’ fui costretto. In testimon ne chiamo
quel Giove che in Olimpia, ha pochi giorni,
venerai nel gran tempio. Il mio cammino
cheto e soletto i’ proseguia, al lor quando
per quella via che in vèr Laconia guida,
un uom vidi venir d’etá conforme,
ma di selvaggio e truce aspetto. In mano
nodosa clava avea. Fissò in me gli occhi
torvi, poi riguardò, se quinci o quindi
gente apparia; poiché appressati fummo
appunto al varco del marmoreo ponte,
ecco un braccio m’afferra e le mie vesti
e quanto ho meco altero chiede e morte
bieco minaccia. Io con sicura fronte
sprigiono il braccio a forza, egli, a due mani
la clava alzando, mi prepara un colpo