Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/253

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non fur giá mai si cari ad alma amante,

come a me son le tue ripulse e sdegni :
questi certo mi fan che tu se’ mia.
Licori.   Folle son io che ancor ti bado.
Morasto.   O Dèi,
non reggo piú. Deh, mia Licori amata,
tanto svani...

SCENA VIII

Osmino e detti.

Osmino.   Mio ben, godi tu forse

di star lungi da me? Sai tu ch’errando
e di te ricercando, in van m’aggiro?
Tutti gli affanni miei, quand’io son teco,
al mio destili perdóno,
e ’l mio stato obliando, altro non cheggio.
Morasto.   Che veggio, oimé, che vegg’io!
Licori.   Da te non parte questo cor giá mai,
e sol per te dentro quest’aspro scoglio
mi può giungere al cor gioia e contento.
Morasto.   Che sento, oimé, che sento!
Licori.   Ma por gran cura ci convien che Oralto
non ci colga mai qui. Miseri noi,
s’egli del nostro amor punto s’avvede.
Lascia però ch’io parta, e tu ben sai
che fará il cor cammin contrario al piede.


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=100%|v=1|t=1|SCENA IX}}

Morasto e Osmino.

Morasto.   Qual freddo gelo il sen m’opprime e tutti

m*instupidisce i sensi!
Forse alcun genio infausto