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Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/26

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20 la merope


Merope.   Or quell’ucciso io temo — e piaccia al cielo

che ’l mio timor sia vano — io temo, Euriso,
non sia stato Cresfonte.
Euriso.   O eterni numi!
Dove mai non vai tu cercando ognora
i motivi d’affanno!
Merope.   Troppo forti
son questa volta i miei motivi. Ascolta.
Qui de’ messeni alcun non manca, ond’era
quell’infelice un passagger; confessa
il reo ch’era d’etá a la sua conforme,
ch’era povero e solo e che veniva
di Laconia. Non vedi come tutto
confronta? Appresso egli stringea una clava.
Forse il vecchio scoperta al fin gli avea
l’erculea schiatta, ond’ei de l’arme avita
giovanilmente facea pompa e certo
qua sen veniva per tentar sua sorte.
Euriso.   Piccioli indizi per sì gran sospetto.
Merope.   Io penso ancor ch'Adrasto, del tiranno
l’intimo amico, il reo condusse. Or dimmi:
perché venne egli stesso? Egli senz’altro
potea mandarlo. E perché mai nel fiume
far che il corpo si occulti e si disperda,
né alcuno il vegga?
Euriso.   Deh! quanto ingegnosa
tu sei per tormentarti.
Merope.   Ah! ch’io ne’ miei
divisamenti errar non soglio mai.
E notasti tu, Ismene, qual cura ebbe
Polifonte in partir ch’io, rimanendo,
col reo non ragionassi? E ti sovviene
quanto pronto e giulivo ei mi concesse
ciò che richiesi in suo favore?
Ismene.   In fatti
molto cortese fu, molto clemente