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atto secondo 25


Polifonte.   E voglio

che tutto ciò diman, pria del meriggio,
sia eseguito: lode è protrar le pene,
ma non giá i benefici. Or perché veggia
Merope quanto sul mio cor giá regni,
dille che, avendo scorto il suo disio
intorno all’omicida, io le do fede
che in danno suo non sorgerá funesto
decreto alcuno; e in avvenir si accerti
che sempre grideran le leggi in vano
contra chi fia dal suo favore assolto.
Or vanne e fa che in cosí lieto giorno
piacciale illuminar di gioia il mesto
volto e le membra circondar di pompa.
Ismene.   Sappi, o re, ch’ella da alcun tempo, in quelle
ore tranquille ch’al riposo e al sonno
per noi si dán, dissimulato in vano
soffre di febre assalto: alquanti giorni
donare è forza a rinfrancar suoi spirti.
Polifonte.   Il comando intendesti; or tuo dovere
è l’ubbidir, non il gracchiare al vento.

SCENA V

Ismene, poi Merope.

Ismene.   Sventurata reina! A tanti affanni

questo mancava ancor, e questo appunto
per l’infelice il tempo era opportuno
da vedersi condurre a nozze, e nozze
con Polifonte. O misero destino!
Merope.   Da te che volle Polifonte, Ismene?
Ismene.   Oimé, sposa ti vuole al sol novello.
Merope.   Di Cresfonte il pensier tanto mi strinse
che quest’altro dolore io quasi avea