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Edith non s’aspettava una domanda simile. Non ritirò più la mano e rispose semplicemente:

— Sì.

Certo ella stava preparando qualche spiegazione cauta per una seconda domanda, inevitabile; ma la seconda domanda non venne.

— Che sera soave! — disse Silla. — Si rinasce. Si sente l’aprile nel cuore. Lei non voleva dirmi tutto quello che ha scritto quel signor curato: e io ho avuto tanto piacere di udirlo da Suo padre!

Il braccio di Edith si mosse un poco, ma non si ritrasse.

— Ella non sa, quando si ha una mano ferita, come si eviti ogni stretta, anche d’un’altra mano amica, e quale consolazione sia sentirsela afferrare un giorno e non provare più dolore.

— Vuol dire — rispose Edith — ch’era una scalfittura e che questa persona teme molto il male. Se son poi ferite dell’anima, allora per me sarebbe un grande avvilimento non sentirle più, guarire come si guarisce da una febbre, come queste piante guariscono dall’inverno. Non le pare? Quanta gente! E papà che non viene?

Ella si sciolse pian piano da Silla e si fermò; Steinegge non compariva.

— Perdoni, signorina Edith — disse Silla con voce leggermente tremante. — Ella mi giudica male. Ad esser giudicato male ci sono avvezzo sin da quando è morta mia madre. La colpa n’è in gran parte mia, del mio carattere; però è una cosa amara! Con un po’ di orgoglio e di fede in altri giudici o qua o via di qua, si resiste; ma qualche volta anche l’orgoglio e la fede cascano in fondo al cuore; il cuore stesso pare che si sprofondi. Mi lasci dire una parola, signorina Edith. Io non trovo negli uomini che indifferenza e nella fortuna che derisione. Vado tuttavia avanti a fronte alta, finora; ma creda, è crudele ferire uno cui tutti voltan le spalle. La prego di darmi il suo braccio e di ascoltarmi un momento.