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trasparivano le campagne fosche. Era un grande spettacolo di tristezza appassionata. Ma Edith non guardava nè vedeva. Era venuta a cercar l’aria libera, viva, rinnovatrice di tutto, gradiva il battere delle fitte punterelline fredde. Si tolse di là dopo lungo tempo e andò a scrivere la lettera seguente a don Innocenzo.

Milano, 30 aprile 1865

«Onoratissimo signore ed amico,

«Accetteremo la cara amichevole offerta di venir qualche giorno in casa Sua. Le siamo tanto tanto grati! Mi pare che il signor conte non potrà offendersi se non andiamo al Palazzo; avrà bisogno di riposo dopo tanta confusione, tanta gente in casa per il matrimonio. E mio padre e io abbiamo pure bisogno subito di quiete e di verde. Scusi il cattivo italiano; non so come esprimere il mio concetto. Voglio dire che abbiamo bisogno di quel silenzio e riposo che si trova nei campi verdi, atto a quietare certi pensieri non del tutto sani e farne nascere altri così freschi e semplici, così vogliosi di aria pura come le foglie degli alberi e dell’erba. È quasi certo che partiremo posdomani.

«Da qualche tempo mio padre non ha progredito come speravo e io sono in sospetto doloroso di me stessa. Io temo di non aver scelta la buona via e di non avere adoperato bene il grande amore di mio padre per me; mi viene nel pensiero che sarebbe forse stato meglio entrare risolutamente su quel terreno sino da principio, richiamare, pregare, esigere, e che non avrei perduto parte della mia influenza, come dubito averla perduta ora con le mie cautele forse troppo mondane, con mostrargli che sono tranquilla e contenta come se non avessi nessuna nube nell’anima.

«Ho creduto, onoratissimo e caro signore, di domandare consiglio a un buon vecchio prete dal quale