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i promessi sposi. 245

difenderle, tutto mi si fa dubbioso, oscuro, complicato quando le parole possono condurre a una deliberazione. Un utopista e un irresoluto sono due soggetti inutili per lo meno in una riunione, dove si parla per concludere; io sarei l’uno e l’altro nello stesso tempo. Il fattibile le più volte non mi piace. E dirò anzi, mi ripugna; ciò che mi piace, non solo parrebbe fuor di proposito e fuor di tempo agli altri, ma sgomenterebbe me medesimo, quando si trattasse non di vagheggiarlo o di lodarlo semplicemente, ma di promuoverlo in effetto, d’aver poi sulla coscienza una parte qualunque delle conseguenze. Di maniera che, in molti casi, e singolarmente ne’ più importanti, il costrutto del mio parlare sarebbe questo: nego tutto, e non propongo nulla. Chi désse un tal saggio di sè, è cosa evidente che anco i più benevoli gli direbbero: ma voi non siete un uomo pratico, un uomo positivo; come diamine non vi conoscevate? dovevate conoscervi; quando è così, si sta fuori degli affari. È una cosa dolorosa e mortificante il trovarsi inutile a una causa che è stata il sospiro di tutta la mia vita. Ma Ipse fecit nos et non ipsi nos; e non ci chiederà conto dell’omissione, se non nelle cose, alle quali ci ha data attitudine.»

Scampato al gravissimo pericolo dell’anno 1821, al Manzoni non dovette parer vero, quando pubblicò i Promessi Sposi, di potersi finalmente riguardare al sicuro; quella specie di bando che esisteva contro di lui pareva levato; ed egli vi alluse, come parmi, quando nel fine della storia di Renzo già compromesso ne’ tumulti di Milano, si domandò; «Come andava