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294 il manzoni e la critica.

in parole, che non un giudizio. Queste difficoltà e altre congeneri (giacchè non voglio abusar troppo della licenza che le ho chiesta di riuscirle seccatore) si trovano a cento doppi più nello scritto che nella conversazione. Qui hanno luogo le espressioni più indeterminate, i periodi non formati, le parole in aria, formole cioè proporzionate a quella incertitudine e imperfezione d’idee; e tali formole hanno però un effetto, giacchè la parte stessa che si degna volere il giudizio altrui, viene in aiuto a chi ha da formarlo, dando mezzo, colle spiegazioni, colle risposte, a porre in forma il dubbio, a svolgere il giudizio che non era nella mente del giudicante che un germe confuso. Questa parolona di giudicante basta poi a farle ricordare gli alti motivi di avversione che ha e dee avere per un tale uffizio chi conosce la propria debolezza. Contuttociò non voglio dire che io non mi conduca a farlo qualche volta a viva voce con persone, a cui mi lega una vecchia famigliarità; nè ch’io non ardisca pur di farlo, comandato, con persona, per cui sento la più rispettosa stima; dandomi animo da una parte questa stima medesima che dall’altra mi tratterrebbe; che, quanto al pericolo di dire sproposito o di non saper bene cosa si dica, è poca cosa per chi protesta e avvisa innanzi tratto che probabilmente gli accadrà l’uno e l’altro.»

Così, quando accadeva al Manzoni di dover giudicare di una contesa letteraria e non averne voglia, egli dovea ricorrere press’a poco a quel famoso espediente, a cui, come dicemmo, si riferiva un suo amico di cara e onorata memoria, che gli raccontava