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o avuto, fra le mie numerose avventure, soltanto tre amanti tedesche. Una amburghese giovane e fresca ma pedante e cretina come un saggio critico di Benedetto Croce. La moglie di un editore di Lipsia, assolutamente insipida. E una signora berlinese rimasta per me indimenticabile. La conobbi all’Hotel des Palmes di Palermo. Era giunonica, imperiale. Faceva degli sforzi eroici verso l’eleganza, senza raggiungerla. Parlava continuamente dei grandi sarti parigini. Il direttore dell’hotel mi disse che era una delle signore più in vista dell’alta società berlinese. Non mi piaceva. Ma mi manifestava una così continua ammirazione, aveva un così buffo stupore azzurro negli occhi quando io condannavo brutalmente i ruderi e i musei, che ebbi il desiderio di catalogarla. I miei amici futuristi Bruno Corra e Settimelli avevano organizzato una grande tournée futurista col mio dramma Elettricità e la sera, mentre parlavo al pubblico palermitano del Politeama Garibaldi sporgendomi da un palco tra Peppino Ardizzone e Tasca di Cutò, vidi la mia amica berlinese estatica in una poltrona sotto di me. Precisai allora con energia il mio disprezzo irruente per i forestieri, passatisti in genere e teutonici in particolare, che perpetuano, con la loro ammirazione idiota, il nostro tradizionalismo artistico, il culto plagiario del passato, la manìa del falso antico, la vecchia Italia morta ma non ancora sepolta. All’uscita si scatenò una battaglia tra futuristi e passatisti ai Quattro Canti di Campagna. Armando Mazza sferrò i suoi pugni atletici e Fran-