Pagina:Marinetti - Scatole d'amore in conserva, 1927.djvu/51

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Mi prestai docilmente al gioco raffinato per una notte. Ma al secondo appuntamento imposi alla mia amica brutalmente la bella e sana normalità.

Vi sono purtroppo anche in Italia donne anormali che deviano il loro istinto sessuale in mille bizzarrie pseudoriginali. Dodici anni fa io fui presentato da un amico in un salotto, ormai chiuso per sempre, della aristocrazia nera romana. La padrona di casa, molto ricca, era una bruna qualsiasi, giovane, di una bellezza comune. Diventai intimo e mi compiacevo di pranzare con lei frequentemente poichè la sua tavola offriva la più strana varietà di prelati tipici e interessanti. Si mangiava naturalmente molto bene e i vini, custoditi e preparati come meravigliosi esplosivi per la fantasia e per la carne, riuscivano sempre a rompere ogni pudore verbale. Il marito, più nero del nero, untuoso, flaccido, malaticcio, cinquantenne e già invalido, trascinava qua e là le gambe corte, le grosse mani offerte ad un invisibile baciamano. Un cardinale vecchissimo, piccolo, gobbo, contorto come una radice insanguinata. Un vescovo sferico che sonnecchiava dopo ogni piatto. Ma tutti si risvegliavano spacchettando il corpo, l’anima, gli occhi e le parole, quando alle frutta incominciava il rosario delle barzellette oscene. Le prime, letterariamente velate. Poi, malgrado il grande crocifisso d’avorio che luccicava sulla parete oscura, nella luce più intensa della tavola si precisavano le descrizioni boccaccesche che tutti ascoltavano gli occhi bassi, fissi sui bicchierini di Bénédictine e di autentica Chartreuse.


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