Pagina:Marinetti - Scatole d'amore in conserva, 1927.djvu/52

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La padrona dì casa aveva le orecchie stranamente golose di cose salaci. Ebbi il mio primo successo con tre o quattro racconti goliardici. La sera di Sant’Anna, suo onomastico, nella sua villa a Tivoli, io le improvvisai la parabola che segue, sotto i fitti ulivi che filtravano un denso e beato liquore lunare. Il marito era a Roma. Il vescovo sferico, affondato sotto un insostenibile carico di vivande, sonnecchiava nella sua speciale sedia di vimini e ritmava il mio discorso con l’organo complicato della sua gola russante.

Bianca, immacolata, nella luce bianca, immacolata di un meriggio primaverile, Suor Bernardina era seduta, col rosario fra le dita, dietro il cancello d’un giardino che ombreggiava il monastero.

Era quasi un giardino, qua e là ridotto a cortile... Tre secoli fa, nelle terre opulente di Sicilia...

Sulla strada polverosa passò un giovane mercante di porci che canticchiava un ritornello:

La suora si assopì
sulla soglia del
monastero mormorando una preghiera.

Egli cacciava avanti a sè col pungolo una troia e sette porci simili a dei cilindri di sugna che oscillavano sul moto febbrile delle zampe, più delicate e grassocce che le braccia di un poppante. Le bestie brontolone fiutavano la soglia agitando le larghe orecchie cadenti come un cappello di bandito sui piccoli occhi furbi.

Suor Bernardina si alzò, aprì la griglia e disse:

— Quanto vuoi per il più piccolo?

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