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scettico francese cerebralissimo, un anglo-sassone distratto dallo sport e dal turismo. Nelle città medioevali tetre e sonore come antichissime campane, abbiamo fusa la nostra anima con la loro atmosfera di bronzo malato consunto e gemente. Eugenia si avanzava allora verso di me come un’ora lenta, e i suoi passi erano rintocchi di una agonia serena... Quanto, quanto era diversa a New York! Vibrante attenta snella spola veloce nell’immenso telaio di fumi tra i treni alti e scagliati da una nuvola rovente a un grattacielo abbagliante sotto i voli liquidi e distratti degli aeroplani. Il cuore di Eugenia galoppava per raggiungere tutti i veicoli del cielo e della terra che certo amavano più di lei, poiché correvano più di lei! Amore sincopato come le danze negre! Ma preferivamo amarci languidamente come la carne della luna ama una morbida terrazza di Tripoli, dove tutto è fermo, e corrono soltanto i gatti bianchi in amore come raggi di pelo bianco ingelositi...

Eugenia

Appena scorgemmo dall’alto della nave il profilo della città araba mangiato dalla luce, i nostri cuori che ballavano ancora il jazz band di New York si assopirono come fanno le ore pomeridiane, i cani scheletrici, i serpenti grassi e i cordami di catrame arrotolati al sole sotto gli archi delle case.

Mario

Dovunque portavo con me Eugenia, cioè una felicità concreta e palpitante, cioè un’arma di difesa contro il pessimismo dell’impossibile. Cosí sfidavo le finestre romantiche accese in cima alle strade buie della vita, le finestre rosee della città, bevute nella corsa dei treni, e che mi sembravano covare una gioia assoluta mentre filavo fra le lunghissime braccia delle rotaie. «Non avete, grido ora, finestre ideali, non potete avere nulla di meglio da darmi! Avevate ognuna una volta un’inconquistabile Eugenia! Ve l’ho rubata. Le ho rubate tutte a tutte le finestre e le ho fuse in una sola, questa!».


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