Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/147

Da Wikisource.

canto secondo 145


171.«Paride caro, e qual timor t’assale?
S’è teco Amor, di che temer più dèi?
Non sai, che ’n su la punta del suo strale
tutti i trïonfi stan, tutti i trofei?
ch’appo ’l valor che sovr’ogni altro vale
sono impotenti i più potenti Dei?
e che del foco suo l’invitta forza
di Giove istesso le saette ammorza?

172.Quell’unica beltà, ch’io già ti dissi,
ti farà fortunato in fra le pene.
Le chiome, ch’indorar porian gli Abissi,
fian de l’anima tua dolci catene.
Quelle, possenti a rischiarar l’ecclissi
(Idoli del tuo cor) luci serene
ti faranno languir di tal ferita,
ch’avrai sol per morir cara la vita.

173.Sì ben d’ogni bellezza in quel bel volto
epilogato il cumulo s’unisce,
e sì perfettamente insieme accolto
quanto ha di bel la terra in lei fiorisce,
che l’istessa Beltà vinta di molto
il paraggio ne teme, e n’arrossisce;
e d’aver lavorato un sì bel velo
pugnan tra loro e la Natura e ’l Cielo.

174.Or non può sola imaginata l’ombra
de la figura che t’accenno or io,
con quella idea che nel pensier t’adombra,
felicitar per sempre il tuo desio?
Sì sì, sostien’ l’alta speranza, e sgombra
dal petto ogni timor, Paride mio!
Sapendo che d’Amor la genitrice
di tutto il suo poter t’è debitrice.»