Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/228

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226 la novelletta


103.Io (come soglio) in su la notte ombrosa
seco in tal guisa il ragionar ripiglio:
«Psiche caro mio cor, dolce mia sposa.
Fortuna ti minaccia alto periglio,
là dove uopo ti fia d’arte ingegnosa,
di cautela sottile, e di consiglio.
Ignoranti del ver, le tue sorelle
di te piangendo ancor cercan novelle.

104.Su que’ sassi colà ruvidi ed erti,
onde campata sei, son già tornate.
Io farò (se tu vuoi) per compiacerti,
che sieno a te da Zefiro portate.
Ma ben t’essorto (a quant’io dico avèrti)
fuggi le lor parole avelenate.
Nel resto io ti concedo interamente
che le lasci da te partir contente.

105.Vo’ che de’ petti lor l’avare fami
satolli a piena man d’argento e d’oro.
Non ti lasciar però (se punto m’ami)
persüader da le lusinghe loro.
Non l’ascoltar; se d’ascoltarle brami,
pensa ascoltar de le Sirene il coro,
dal cui dolce cantar tenace e forte,
mascherata di vita, esce la morte.

106.E se pur troppo credula vorrai
prestar fede a la coppia iniqua e ria,
in ciò ti prego almen non l’udir mai,
in cercar di saver qual io mi sia.
Con un tardo pentir (se ciò non fai)
ti soverrà de l’avertenza mia.
A me sarai cagion di grave affanno,
ed a te porterai l’ultimo danno».