Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/231

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canto quarto 229


115.Altri certo non può che Dio celeste
esser l’autor di meraviglie tali;
e s’ei pur l’ama (com’appar da queste)
la porrà tra le Dee non più mortali.
Non vedi tu, ch’ad ubbidirla preste
insensibili forme e spiritali,
quasi vili scudier, move a suo senno?
comanda ai venti, ed è servita a cenno?

116.Misera me, cui sempre il letto e ’l fianco
ingombra inutilmente un freddo gelo,
impotente fanciullo e vecchio bianco,
uom che vetro ha la lena, e neve il pelo!
Né sposo alcun, sì come infermo e stanco,
più spiacente e geloso è sotto il cielo,
che custode importun la casa tiene
sempre di ferri cinta, e di catene».

117.«Ed io» l’altra soggiunge «un ne sostegno
impedito dal morbo e quasi attratto,
e calvo, e curvo, e men che sasso o legno
ai congressi amorosi abile ed atto
cui più serva che moglie esser convegno,
con le cui ritrosie sempre combatto;
convienimi ognor curarlo; e ’n tali affanni
vedova, e maritata, io piango gli anni.

118.Ma tu sorella (con ardir ti parlo)
con cor troppo servil soffri i tuoi torti.
Io non posso per me dissimularlo
né più oltre sarà che mel sopporti.
Mi rode il petto un sì mordace tarlo,
che non trovo pensier che mi conforti.
Animo generoso aborre e sdegna
tal ventura caduta in donna indegna.