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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/256

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254 la novelletta


215.Così parlando a mio favor le due
scusan la colpa, e prendon l’ira a gioco
temendo lor non sia, come già fue,
ferito il petto di pungente foco.
Ella sdegnando che l’ingiurie sue
passino in riso, e sien curate poco,
le lascia, ed a sfogar la rabbia altrove
velocissimamente i passi move.

216.Intanto Psiche mia per varie strade
inquïeta d’errar già mai non cessa,
e discorsi or di sdegno, or di pietade
volge incerta e dubbiosa in fra se stessa.
Or dal grave timor battuta cade,
or le sorge nel cor la speme oppressa.
Teme, spera, ama, brama, e si consuma
come a fervido Sol gelida bruma.

217.Di me novelle investigando invano
quasi smarrita e saettata Cerva
fugge per boschi a più poter lontano
de l’orgogliosa Dea l’ira proterva.
Vorria, punita sol da la mia mano,
titol, se non di sposa, almen di serva,
e l’amaro addolcir, ch’io chiudo in seno,
se non con vezzi, con ossequii almeno.

218.Tempio, che d’arte ogni edificio avanza,
sovra la sommità d’un monte mira;
e vaga di saver se v’abbia stanza
l’occulta Deità per cui sospira,
tosto lo stanco piè, da la speranza
rinvigorito, a quella parte gira,
e ’n su la cima dopo l’erta strada
trova fasci di gran, mucchi di biada.