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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/257

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canto quarto 255


219.In quella guisa che dopò la messe
ventilate e battute alcun l’ha viste
giacer su l’aia, accumulate e spesse
stavan sossovra le mature ariste;
e falci, e rastri, e vomeri con esse,
e vanghe e marre in un confuse e miste,
e pale, e zappe, e cribri, e quanti arnesi
usa il Cultor ne’ più cocenti mesi.

220.Devota allor con umiltà profonda
sceglie, compon, dispon le sparse spiche,
quando si mostra a lei la Dea feconda,
«Che fai» dicendo «o poverella Psiche?
Tu qui spargi oziosa e vagabonda
in vane cure inutili fatiche;
e Citherea, che morte ti minaccia,
va con cupida inchiesta a la tua traccia.

221.Innanzi al divin piede allor si stende,
e con larghe fontane il lava tutto,
e col bel crin, che fin a terra scende,
scopando a un punto il suolo, il rende asciutto.
«Deh per le cerimonie» a dir le prende
«e i lieti riti del tuo biondo frutto,
per gli occulti secreti e venerandi
de Tauree ceste, onde i tuoi semi spandi:

222.per le rote volanti e per le faci,
per gli Dragoni che ’l tuo carro imbriglia,
per le glebe fruttifere e feraci
onde Sicilia ancor si meraviglia,
per la rapina de’ destrier fugaci,
per gli oscuri imenei de la tua figlia,
e per quant’altre cose umile ancora
ne’ suoi sacri silenzii Eieusi onora: