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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/258

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256 la novelletta


223.sovien’ prodiga Dea (pregoti) a questa
perseguitata e misera, sovieni.
Sotto le spiche de la folta testa
sol tanto ascosa per pietà mi tieni
che di colei, che le mie paci infesta,
passi alquanto il furor, l’ira s’affreni,
e con breve quiete almen ristori
le membra stanche da sì lunghi errori».

224.Mover potea con questi preghi un scoglio,
ma da Cerer però trovossi esclusa,
che non osando inacerbir l’orgoglio
de l’altera cognata, alfin si scusa.
Onde doppiando al cor tema e cordoglio,
quindi dal suo sperar parte delusa;
né ben scorge il camin, sì spesso e tanto
le piove agli occhi e l’abbarbaglia il pianto.

223.Vede un’altra non lunge eccelsa mole,
che par che fin al Ciel s’estolla ed erga.
Sciillc mostrali su l’uscio auree parole
del Nume il nome, che là dentro alberga.
Per supplicar la Dea ch’ivi si cole
s’asciuga i fiumi onde la guancia verga,
e poi che dentro s’avicina e passa,
gli occhi solleva, e le ginocchia abbassa.

226.Ed abbracciando reverente e china
l’altar di sacro sangue ancor fumante,
«O» dice «de le Dee degna Reina,
germana e moglie del sovran Tonante;
o che Samo t’accolga, a cui bambina
désti i primi vagiti ancor lattante,
o di Cartago la beata sede,
che spesso assisa in su ’l Leon ti vede: