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canto quarto 257


227.o che d’Inaco pur tra i verdi chiostri
cerchi di Giove l’amorose frodi,
o che ’ntesa a guardar dal Ciel ti mostri
le mura Argive, ond’hai tributi e lodi,
tu, che Lucina sei detta da’ nostri,
ch’alma con alma in maritaggio annodi,
deh propizia a’ miei voti or me ritogli
al vicin rischio, e ’n tua magione accogli».

228.Giunon, mentr’ella prega e l’ara abbraccia,
Tappare in vista umana e mansueta;
ma per non consentir cosa che spiaccia
a la motrice del gentil Pianeta,
le nega albergo, e con tal dir la scaccia:
«Servo fugace ricettar si vieta».
A quest’altra repulsa aspra e severa
di sua salute in tutto ella despera.

229.Con cor tremante, e con tremante piede
fugge la tapinella, e non sa dove.
In ciò che ’ntorno ascolta, in ciò che vede,
vede di novo orror sembianze nove.
Lieve arboscel, cui debil aura fiede,
lieve augellin, che geme o che si move,
lieve foglia, che cade o che si scote,
di terror doppio il dubbio cor percote.

230.E per deserti inospiti fuggendo,
così co’ suoi pensier tra sé discorre:
«Or qual suffragio in sì grand’uopo attendo,
se ’l Cielo istesso i miei lamenti aborre?
Se la forza divina, ancor volendo,
aiutar non mi può, chi mi soccorre?
Chi mi difenderà, s’anco gli Dei
non mi sanno schermir contro costei?

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