Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/284

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15.— O damigel, che sott’umano velo
di consorzio divin sei fatto degno,
de la tua sorte invidiata in Cielo
ecco ch’io teco a rallegrar mi vegno.
Cosi ’l tuo foco mai non senta gelo,
come a curar non hai del patrio regno,
quando di sé lo scettro, e del suo stato,
la Reina de’ Regi in man t’ha dato.

16.Ma perché muto veggioti, e pensoso,
sia pensier, sia rispetto, o sia cordoglio,
consolar mesto, assecurar dubbioso,
consigliar sconsigliato oggi ti voglio.
Del bel, per cui ne vai forse fastoso,
ah non ti faccia insuperbire orgoglio:
però ch’è fior caduco, e, se noi sai,
fugge, e fuggito poi, non torna mai.

17.E ti vo’ raccontar, se non t’aggrava,
ciò ch’adivenne al misero Narciso.
Narciso era un fanciul, ch’innamorava
tutte le belle Ninfe di Cefiso.
La piú bella di lor, che s’appellava
Eco per nome, ardea del suo bel viso,
ed adorando quel divin sembiante
parea fatta idolatra, e non amante.

18.Era un tempo costei Ninfa faconda,
e note sovr’ogni altra ebbe eloquenti:
ma da Giunon crucciosa ed iraconda
le fur lasciati sol gli ultimi accenti.
Pur, se ben la sua pena aspra e profonda
distinguer non sapean tronchi lamenti,
supplia pace chiedendo ai gran martiri
or con sguardi amorosi, or con sospiri.