Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/287

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27.Mancando alfin lo spirto a l’infelice,
troppo a se stesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè de l’onda ingannatrice
la vita, e morto in carne, in fior rinacque.
L’onda, che giá l’uccise, or gli è nutrice,
perch’ogni suo vigor prende da Tacque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator de la sua vana imago.

28.E cosí fece il Ciel del grave oltraggio
de la sprezzata Ninfa alta vendetta.
Ma tu (credo ben io), se sarai saggio,
aborrir non vorrai quel che diletta,
e sgombro il sen d’ogni rigor selvaggio
godrai l’etá fiorita e giovinetta,
Idolo d’una Dea, dal cui bel viso
impara ad esser bello il Paradiso.

29.Di quella Dea, per cui strugger si sente
lo Dio del foco in maggior foco il petto,
e da martel piú duro e piú possente
batter il cor, d’amore, e di sospetto.
Quella che i danni de l’offesa gente
vendica sol col mansueto aspetto;
ché se ’l folgore suo percote altrui,
un sol guardo di lei trafige lui.

30.Di quella Dea, che può col seno ignudo
vincer l’invitto Dio d’armi guernito,
lo qual non può sí forte aver lo scudo
che non ne resti il feritor ferito,
né di sí salde tempre il ferro crudo
che tempri il mal da que’ begli occhi uscito.
Quella, che può bear l’alme beate,
beltá del Cielo, e Ciel d’ogni beltate.