Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/315

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139.Or tra i confin di questo e de l’altr’Atto
non men bel si frapon novo intervallo.
Ondeggiar vedi un mar, non so se fatto
di zaffiro, o d’argento, o di cristallo,
e le sponde vestir tutte in un tratto
d’alga e di limo e d’ostro e di corallo:
e tremar Tonde con ceruleo moto,
e Delfini guizzar per entro a nuoto.

140.E quinci e quindi per l’instabil campo
spiegar turgide vele antenne alate,
urtar gli sproni e con rimbombo e vampo
venir in pugna due possenti armate.
Di Giove intanto il colorato lampo
listando il fosco ciel di linee aurate,
fa per l’aria vibrar con lunghe strisce
mille lingue di fiamma oblique bisce.

141.Folgora il cielo, e folgoran le spade,
gonfiansi Tonde tempestose e nere,
ed acqua e sangue per l’ondose strade
piovon le nubi, e piovono le schiere.
Chi fugge il ferro, e poi nel foco cade,
chi fugge il foco, e poi ne l’acqua pére,
chi di sangue, e di foco, e d’acqua asperso
more ucciso in un punto, arso, e sommerso.

142.Tale è la guerra, e la procella, e ’l gelo,
ch’agguagliato è quel ch’ò, da quel che pare.
Ma in breve poi rasserenarsi il cielo
vedi, e in un punto implacidirsi il mare,
ed Iri il suo dipinto umido velo
stender per l’aure rugiadose e chiare.
Spariscon le galee, svanisce il flutto,
struggesi l’arco, e si dilegua il tutto.