Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/501

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59.Risponde: — O degna Dea de la beltate,
Imperadrice d’ogni nobil petto,
canterò, scriverò, se voi mi date
vena corrispondente al bel suggetto.
Da voi vienimi lo stile, e voi levate
sovra se stesso il debile intelletto,
poi che la cetra mia rauca e discorde
s’ha de’ lacci d’Amor fatte le corde.

60.Questo cor, che si strugge a poco a poco
languendo di dolcissima ferita,
la mercé vostra, in ogni tempo e loco
sará fonte d’amor piú che di vita,
somministrando al suo celeste loco,
ne le pene beato, ésca infinita:
con tal piacer per la beltá ch’adoro
sperando vivo, e sospirando moro.

61.Nacque nel nascer mio, né fia ch’estinto
manchi per volger d’anni ardor sí caro.
Quelle catene, ond’io son preso e cinto,
insieme con le fasce mi legaro.
Que’ lini istessi, in ch’io fui prima avinto,
la piaga del mio petto anco fasciaro.
Lavato a pena dal materno bagno,
fui lavato dal pianto, onde mi lagno.

62.Amor fu mio maestro, appresi amando
a scriver poscia, ed a cantar d’Amore.
Di duo furori acceso, arsi penando,
l’un mi scaldò la mente, e l’altro il core.
L’uno insegnommi a lagrimar cantando,
l’altro a far le mie lagrime canore.
Amor fe’ con la doglia amaro il pianto,
Febo con l’armonia soave il canto.