Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/502

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63.Negar non voglio, né negar poss’io,
ch’ai dolci studi, agli onorati affanni,
che rapiscono i nomi al cieco Oblio,
e fanno al Tempo ingordo eterni inganni,
fatale elezzi’on l’animo mio
non inclinasse assai fin da’ prim’anni.
In qualunque martir grave e molesto
refugio unqua non ebbi altro che questo.

64.Ma da questa di vezzi arte nutrice
ecco le spoglie alfin, ch’altri riporta,
ecco qual frutto vien di tal radice,
un guarnel di zigrin, l’amo, e la sporta.
Trofei del nostro secolo infelice,
in cui di gloria ogni favilla è morta.
L’etá del ferro è scorsa, e sol di questa
la vilissima rugine ne resta.

65.Tempo fu, ch’ai cultor de’ sacri rami
favorevoli fur molto i pianeti.
Or sol regnano in terra avare fami,
e copia v’ha di Principi indiscreti,
de’ quai s’alcuno è pur, che ’l canto n’ami,
ama le Poesie, non i Poeti;
né fia poca mercé, quand’egli applaude
premiando talor laude con laude.

66.Di me non parlo, e se pur canto o scrivo,
d’Amor, non di Fortuna io mi lamento,
ché non in tutto di ricchezze è privo
chi trae la vita povero e contento.
In tale stato volentier mi vivo,
bastami sol, che d’oro ho lo stromento.
Lo stromento ch’io suono (a quell’alloro
vedilo lá sospeso) è di fin oro.