Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/569

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115.Avean l’aureo timori per la via torta
drizzato giá le mattutine ancelle,
giá su i confin de la dorata porta
giunto era il Sole, e fea sparir le stelle;
la cui leggiadra messaggera e scorta
sgombrando intanto queste nubi e quelle,
per le piagge spargea chiare ed ombrose
de la terra e del ciel rugiade e rose:

116.quando vi giunse, e con la coppia scese
sovra le soglie del lucente chiostro.
Come fu dentro Adon, vide un paese
con piú bel giorno e piú bel ciel che ’l nostro;
poi dietro a le sue scorte il camin prese
per un ampio sentier che gli fu mostro;
e in un gran pian si ritrovaro adagio,
nel cui mezo sorgea nobil Palagio.

117.Palagio ch’ai modello, a la figura
quasi d’Anfiteatro avea sembianza.
Ogni edificio, ogni artificio oscura,
ogni lavoro, ogni ricchezza avanza.
— Vista nel primo giro hai di Natura —
disse Cillenio — la secreta stanza.
Or ecco, 0 bell’Adon, sei giunto in parte
dove l’albergo ancor vedrai de l’Arte.

118.De l’Arte emula sua la Casa è questa,
eccola lá, se di vederla brami.
Di gemme in fil tirate è la sua vesta,
trapunta di ricchissimi riccami.
Mira di che bei fregi orna la testa,
come l’intreccia de’ piú verdi rami.
Di stromenti e di machine ancor vedi
qual e quanto si tien cumulo a piedi.