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96 la fortuna


159.Ma così son d’Amor dolci gli strali,
sì la sua fiamma e la catena è lieve,
che mille strazii rigidi e mortali
non vagliono un piacer che si riceve.
Anzi pur vaga de’ suoi propri mali
conosciuto velen l’anima beve;
e ’n quegli occhi, ov’alberga il suo dolore,
volontaria prigion procaccia il core.

160.Curi dunque chi vuol delizie ed agi,
io sol piacer di villa apprezzo ed amo.
Co’ tuguri cangiar voglio i palagi,
altro tesor che povertà non bramo.
Sazio de’ vezzi perfidi e malvagi,
c’han sotto l’ésca dolce amaro l’amo,
qui sol quella ottener gioia mi giova
che ciascun va cercando, e nessun trova.

161.Non ti meravigliar, che la selvaggia
vita tanto da me pregiata sia:
ch’ancor di Giano in su la patria spiaggia
ne cantai già con rustica armonia;
onde vanto immortal d’arguta e saggia
concesse Apollo a la sampogna mia.
de’ cui versi lodati in Helicona
il Ligustico mar tutto risona. —

162.Del maestro d’Amor gli amori ascolta
stupido Adone, ed a’ bei detti intento.
Colui, poi ch’affrenò la lingua sciolta,
fe’ da’ rozi Valletti in un momento
recar copia di cibi, a cui la molta
fame accrebbe sapore e condimento.
Mèl di diletto, e nettare d’Amore,
soave al gusto, e velenoso al core.