Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/123

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139.«Veggio * il foglio dicea «veggio i tormenti,
che di soffrir per mia cagion ti sforzi.
So le perfidie ordite e i tradimenti
per far ch’un sí bel foco in te s’ammorzi.
Pertanto la tua fé non si sgomenti,
ma combattuta piú, piú si rinforzi;
né rompa del tuo cor l’auree catene
la ferrata prigion che ti ritiene.

140.Cruda prigion, ma vie piú cruda molto
quella che qui mi tien legata e stretta:
ch’oltre che de’ begli occhi il Sol m’ha tolto,
a chi mel toglie ancor mi fa soggetta.
Bramo il piè come il core averne sciolto,
ma la spada può piú che la saetta;
e se ben la sua forza ogni altra avanza,
Amor contro Furor non ha possanza.

141.Che mèl senz’aghi e rosa senza spine
coglier mai non si possa, è legge eterna.
Stan le doglie ai piacer sempre vicine,
cosí piace a colui che ne governa.
Ma speriam pur, che liberati alfine
io d’un Inferno, e tu d’una caverna,
tornando in breve all’allegrezza antica
scherniremo l’amante, e la nemica.

142.So che m’ami, e se m’ami, ami te stesso,
perché piú che ’n te stesso, in me tu sei.
Se t’ho nel core immortalmente impresso,
s’ardon tutti per te gli affetti miei,
io noi vo’ dir. Se tu non fossi in esso,
anzi se me non fossi, io tei direi.
Chiedilo a te, però che ’n te cor mio
piú che ’n me stessa, anzi pur te son io.