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LA PRIGIONE

IlB

143.Cor de l’anima mia, vivi e sopporta,
e viva teco il tuo bennato ardore;
e con un sol pensier ti riconforta,
ch’altri giá mai di me non fia Signore;
e se forza a far altro or mi trasporta,
scusabil è non volontario errore.
Piú non ti dico: a quanto a dir mi resta
supplirá teco il recator di questa».

144.Letti i bei versi, acconciò i ferri e sparve
Mercurio, e quindi era sparito a pena,
che la rivai di Venere v’apparve,
ma tal, che non parea piú Falsirena.
Quasi deluso da sí belle larve,
a prima vista Adon non ben s’affrena;
e ben che sappia esser beltá fallace,
l’inganno è però tal, ch’agli occhi piace.

145.E se non che del ver tosto s’accorse,
tal fu del fido messo il cauto aviso,
sendo senza l’anel, fuor d’ogni forse
creduto avrebbe al simulato viso:
perché di Citherea tutti in lei scorse
portamenti, e fattezze, e sguardo, e riso.
Ella in entrando il salutò per nome,
ma volendo parlar, non seppe come.

146.Giá lontana la fiamma avea nutrita
che nel cor le lasciò la bella stampa.
Or ch’ella ha da vicin l’ésca gradita,
subitamente in novo incendio avampa.
Fatta da quest’ardore alquanto ardita,
a l’usata battaglia allor s’accampa.
Vòlse baciarlo, e si restò per poco,
pur moderò se stessa in sí gran foco.