Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/17

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27.Levò costei da la magion profonda
al Ciel la fronte livida e maligna.
Sbiecò le luci, ove di tosco immonda
luce fiammeggia torbida e sanguigna,
e la vita mirò lieta e gioconda
che ’n braccio al caro Adon traea Ciprigna:
né cotanta in altrui quiete e pace
fu senza rabbia a tollerar capace.

28.Giá si risolve, al bel seren celeste
passando, abbandonar l’eterna notte.
D’un cilicio di spine il corpo veste,
e vola fuor de le solinghe grotte.
Di spine il manto ha le sue fila inteste,
ma le fibbie e i botton son bisce e botte.
Di tai fregi laggiú per lor diletto
sòglionla ornar Thesifone ed Aletto.

29.Tosto che fuor de la spelonca oscura
usci quel sozzo vomito d’inferno,
sentirò i fiori intorno e la verdura
fiati di peste, ed aliti d’Averno.
Poría col ciglio instupidir Natura,
inorridire il bel Pianeta eterno,
intorbidar le stelle e gli elementi,
se non gliel ricoprissero i serpenti.

30.I vaghi augelli in dolci versi e lieti
i lor semplici amori a sfogar usi,
fér pausa al canto, e sbigottiti e cheti
volár tra’ rami piú nascosti e chiusi.
I destrieri d’Apollo in grembo a Theti
per tema ombrosi, e di terror confusi,
tuffaro il capo, e se n’andár fuggendo
la brutta vista de l’oggetto orrendo.