Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/18

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31.Fu per sottrarsi, e vacillando torse
gli omeri Atlante, al suo celeste pondo,
sí che fu Giove di cadérne in forse,
e tutto minacciò ruina il mondo.
Protheo a celarsi con sua greggia corse
nel cupo sen de l’Ocean profondo;
né con l’umide figlie impaurite
uscir degli antri suoi vòlse Anfitrite.

32.Lá sotto l’Arto il mostro il passo move
vèr l’albergo de l’Orse e de’ Trioni,
dove gli algori e le pruine, e dove
fan perpetua battaglia i nembi e i tuoni,
e fiocca il Ciel sempr’adirato, e piove
a lo spesso ruggir degli Aquiloni,
né spoglia il Verno mai, né giá mai rompe
le sue di smalto adamantine pompe.

33.Mentre la regi’on malvagia e trista,
che di piogge e di ghiacci è tutta greve,
trascorre, ecco dal ciel discender mista
gran tempesta di grandine e di neve.
Strillano gli aspi, e forza il tosco acquista,
ed ella alto piacer di ciò riceve,
perché molto conforme è la freddura
a la sua fredda e gelida natura.

34.Tra due montagne discoscese ed erte,
dove il Sol di passar non ha possanza,
cinta di selve sterili e deserte
trova di Marte la spietata stanza.
Da le fatiche in guerreggiar sofferte
quivi ha talor di ritirarsi usanza,
e scinto il brando crudo e sanguinoso,
dopo molti sudor prender riposo.