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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/237

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315.Grande l’ardir, ma degno è di clemenza,
e s’è fallo amoroso, il fallo è lieve,
perché l’istesso error fassi innocenza
qualor la volontá forza riceve.
Argene, se ’n sé punto ha di prudenza,
sí leggiadra uni’on scioglier non deve.
Vuoisi in prima pregar; poi quella strada
ch’è chiusa a la ragion, s’apra la spada.

316.Lasciate pur, ch’io sol senza conforto
mi dolga ognor di mia crudele stella. —
Cosí diss’egli, e fu il suo dire absorto
dal dolce pianto, e ruppe la favella.
Ma giá Sidonio intanto è in piè risorto
dal prato erboso, e risalito in sella.
Adone il segue, e col parlar diffalca
la noia del camin, mentre cavalca.

317.D’Amor i torti e del suo proprio male
parte gli prende a raccontar tra via,
e come di fortissimo rivale
fugge l’ira, il furor, la gelosia.
Tace i nomi però, né scopre quale
o la sua Donna, o il suo nemico sia,
e dubitando pur d’alcun oltraggio,
palesar non ardisce il suo legnaggio.

318.Giá da’ termini Eoi spunta l’Aurora,
giá la caligin manca, e ’l lume cresce.
Non è piú notte, e non è giorno ancora,
col chiaro il buio si confonde e mesce.
Non tutto è sorto il Sol de Tonde fora,
ma si solleva a poco a poco ed esce,
ché se bene il suo raggio il Ciel disgombra,
vi resta pur qualche reliquia d’ombra: