Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/480

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119.Volgo (né molto in alcun Dio mi fido)
di certo danno opinioni incerte.
Temo non abbia de la Fama il grido
de’ miei secreti le latebre aperte,
e Torme giá nel piú riposto nido
del mio dolce deposito scoverte.
Cipro di tanto ben non è capace,
e ’l mio crudo figliuol troppo è sagace.

120.Le fere altrove con acuto strale
il bell’Adone a saettare intende.
Qui, lassa, a me d’antiveduto male
dardo vie piú pungente il petto offende.
Ei con veltri mordaci i mostri assale,
del cui forte abbaiar diletto prende,
10 da piú fieri can d’aspro tormento,
che mi latrano al cor, morder mi sento.

121.Ahi ben ne la stagion fosca e tranquilla
posan le membra in su l’agiate piume:
11 cor non giá, che si distrugge e stilla,
povero d’altro Sole, e d’altro lume.
Al primo suon de la diurna squilla
le palpebre appannar talor presume.
Quando le luci, che dormir mal ponno,
al pianto aprir devrei, le chiudo al sonno.

122.E ’l sonno, il sonno ancor pietoso anch’esso
de Tamorose mie penaci cure,
qualche raggio del ver mi mostra spesso
tra l’ombre sue caliginose e scure,
e del mio ben visibilmente espresso
in sanguinose e pallide figure
con sollecito orror, che mi spaventa,
simulacri talor mi rappresenta.