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l’aggionta della fabrica nuova, che non sono le fondamenta vecchie. L’ho diviso in dodici canti assai lunghi, talché il volume sará né piú né meno quanto la Gierusalemme del Tasso...» [lett. n. no]. E ancora: «... l’opera è molto dilettevole, divisa in dodici canti, ed ho a ciascuno fatte far le figure: il volume sará poco meno della Gierusalemme del Tasso...» [lett. n. in]. Non è risoluzione da poco; la sfida al Tasso era ormai bandita dal famigerato rifiuto, due anni prima, di scrivere «quattro argomenti» per la Gerusalemme liberata: «...Iddio mi dotò (la sua mercé) d’intelletto tale, che si sente abile a comporre un poema non meno eccellente di quel che si abbia fatto il Tasso. E s’io dicessi che giá l’ho fatto e che lo farò comparire alla luce riavuti che avrò i miei scritti [sequestratigli da Carlo Emanuele di Savoia all’epoca della prigionia torinese], non direi forse mentita. E se sará per avventura manchevole in alcuna di quelle parti, nelle quali il sudetto è stato singolare, abbonderá forse di molte di quelle condizioni nelle quali egli è stato difettoso ... » [lett. n. 77]. Solo che a quel punto l’ombra della Gierusalemme distrutta poteva ancora servire da ipotesi di copertura: ora si trattava di opporre, al grado supremo del poema eroico, un poema mitologico che « piace tanto a tutti gli amici intelligenti » e che, per la sfida al Tasso, si basa sul puro calcolo delle esterne dimensioni (dodici canti) e su una tecnica, rispetto all’originario poemetto, di vasto respiro architettonico (si rifletta alla dialettica struttiva della « fabrica nuova » con le « fondamenta vecchie »).
Avaro, con la passata in Francia, e fino al ’19, si fa l’epistolario. Chiamato oltralpe da Maria de’ Medici, il Marino legò le sue fortune francesi alla Regina e al potentissimo favorito di lei, Concino Concini. Il Tempio innalzato in Lione (1615) alle virtú della Regina è mediato da una dedica a Leonora Concini detta Galigai, gli Epitalami (Parigi 1616) sono preceduti da una dedica al Concini stesso, che piú espansiva ed esaltatrice non si potrebbe. E piú compromettente. Perché di lí a un anno la sfrontata avventura del Maresciallo d’Ancre sarebbe finita come doveva finire, e probabilmente il Marino si trovò a dover distruggere quanto piú gli riuscisse, del suo passato all’ombra di lui (donde la penuria dell’epistolario per quegli anni). Intanto, l’Adone era arrivato alle soglie della stampa: «... L’Adone è in procinto di stamparsi », annunciava il Marino a un amico di Parma, nell’inviargli il volumetto fresco di stampa degli Epitalami, « e finalmente è ridotto a tale ch’è quasi maggior del Furioso, diviso in ventiquattro canti... » [lett. n. 121]. Da « poco meno della Gierusalemme » a « quasi maggior del Furioso »,