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Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/178

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Or che si è rotto il corso delle nostre lettere, voglio che tra noi passi continovo flusso e reflusso di corrispondenza. Per grazia, non manchi di scrivermi sempre, dandomi parte del suo stato, degli studi e delle fatiche; e sappia ch’io l’amo e la stimo quanto debbo e quanto merita, che non si può dir d’avantaggio. V. S. avrá potuto vedere un altro volume di mie poesie ultimamente stampato, ma la stampa è tanto scorretta che mi vergogno che vadano in volta. Vi troverá il suo sonetto giá scrittomi tanto tempo fa, a cui non ho risposto perché disegno di fare un libro particolare tutto di proposte e risposte, ed allora si accorgerá s’io desidero d’onoraria.

Oui ho fatti stampare certi miei Discorsi sacri , i quali non tanto per l’erudizione e per la puritá dello stile, quanto per la nuova maniera della invenzione, poiché ciascuno di essi si raggira sempre sopra una metafora sola, hanno ricevuto qualche applauso. Se V. S. mi aviserá del modo e della via come ho da mandargli, ne manderò un libro. Son risolutissimo che per tutto quest’anno sia stampata la maggior parte dell’opere mie, le quali non son poche né forse dozinali, per potermi in tutto e per tutto impiegare nel poema grande e tirarlo a fine. E penso di farlo in ogni modo, e chiarire qualcheduno che dice ch’io l’ho abbandonato perché non mi basta l’animo; ma se avesse sofferta la metá de’ travagli che mi hanno agitato da un tempo in qua, so che gli sarebbe caduta la penna di mano per sempre.

In Bologna un certo parmigiano ha promossa una controversia sopra un mio sonetto, ed in questa disputa sono uscite molte scritture. Ha egli questi giorni publicata una Essamina contra alcune ragioni scritte dal conte Lodovico Tesauro in mia difesa. Ma si assicuri che non andrá a Roma per penitenza, perché in breve manderò a V. S. una Replica di pepe che gli renderá pan per focaccia; e se non si va questa volta a cacciar dentro un forno o in un cesso, bisogna credere che non abbia conoscimento d’onore né di vitu; erio. E qui finisco, pregandola a conservarmi nella sua grazia e nella sua memoria e baciandole caramente le mani.

Di Torino [1614]