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CXXV

Al medesimo

Lo informa della sua buona fortuna a Paridi.


Insomma sono stato costretto a fermarmi qui per qualche mesi. La regina me n’ha pregato a bocca: la cosa è seguita con somma mia riputazione. Cento scudi d’oro del sole il mese di pensione ben pagati, oltre cinquecento altri di donativo che mi si sborseranno dimane, sono tremilla scudi in circa di moneta l’anno. Ho accettato il partito, con condizione se Sua Altezza sará contenta. Credo che non vorrá opporsi a questa mia fortuna, sapendo lo stato mio e come sono stato trattato in cotesta corte. Con tutto ciò io voglio il suo beneplacito. S. M. mi lascia libero di potere andare in Italia e tornare a volontá mia. Mi pare ch’importi assai vivere sotto l’ombra d’una corona cosí grande. È ben vero che le cose qui al presente sono molto ingarbugliate. Appena uscito d’una guerra, dubito d’esserne in un’altra. Se la guerra dura (il che non si crede), me ne tornerò quanto prima con tutto quel che ne potrò cavare. Prego V. S. a voler dar conto particolare di questo negozio al mio caro signor Lodovico Tesauro, perché non ho tempo di scrivergli. Il primo sonetto che V. S. dice avermi mandato non mi è capitato. Ho ben ricevuto questo secondo, e le dico liberamente ch’ Ella ha fatto notabile avanzo da un tempo in qua. II sonetto è bello, ed insomma non mi occorre cosa alcuna da accommodare, e potrá donarlo senz’altro, perché questo solo basterá senza compagno. Quanto alla poesia del Castalun al Decamcrone userò diligenza, ma qui dei libri italiani ve n’ha pochissimi. Il signor Claretto mi disse d’aver ritrovato un Boccaccio, ma poi è svanito.

Ho ricevuto il trattato della pace e ne ringrazio V. S. Veramente si è conchiusa con molto onore di Sua Altezza, a cui mi glorio d’aver fatto qualche servigio d’importanza in questa corte, si come gliene hanno fatto fede questi illustrissimi signori ambasciadori.