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pivi che quel ch’io ora le presento non è dono di cortesia ma pagamento di debito, non pegno di servitú ma testimonio d’omaggio, non mezo per insinuarmi nella sua conoscenza ma tributo per riconoscere i suoi favori in qualche parte. E senza piú a V. E. umilmente m’inchino.
Di Parigi, il i d’aprile 1616.
CXXX
Al signor conte Fortuniano San Vitali
Invia gli Epitalami e dá notizie dell’ Adone.
Son vivo, la Dio mercé, sano e (quod peius ) ricco come un
asino. Le mie fortune qui vanno assai bene. Son ben veduto
da questa Maestá ed accarezzato da tutti questi prencipi. L’amor
d’Italia mi tira ed il desiderio del riveder gli amici antichi mi
fa languire di sfinimento. Spero in breve dare una passata per
coteste bande, e forse con miglior modo, se le promesse di chi
le può effettuare riescono vere. Intanto non mi mancheranno
almeno cento scudi d’oro il mese ben pagati, i quali S. M. si
contenta ch’ io gli goda nella mia patria, purché a volta a volta
mi lasci rivedere in questa corte. Mando a V. S. alcuni Epitalami , giá da me composti un pezzo fa ed ora assassinati da
questi stampatori, si per la picciolezza del carattere, si per la
moltitudine degli errori. Quali si sieno, ne mando un volume
a V. S., perché conosca ch’io non mi dimentico di coloro che
mi amano, come son certo ch’ Ella fa. L ’Adone è in procinto
di stamparsi, e finalmente ridotto a tale ch’è quasi maggior del
Furioso , diviso in ventiquattro canti. Gli amici se ne compiacciono
e mi sforzano a publicarlo. Non so come riuscirá, ma insomma
è fabrica risarcita o, per meglio dire, gonnella rappezzata. La
favola è angusta ed incapace di varietá d’accidenti; ma io mi
sono ingegnato d’arricchirla d’azioni episodiche come meglio
mi è stato possibile. Intanto V. S. non lasci di scrivermi, dandomi qualche novella di costá e indrizzando le lettere a monsignor illustrissimo Bentivoglio, nunzio apostolico presso questa