Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/260

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meschinitá delle rime, infino alle falsitá delle desinenze scappate, che non si possono scusare, percioché non son notate nel registro degli altri errori. Allora chiaro vedrassi chi sia la bertuccia de! mare e chi il babbuino della terra: o io che, la Dio mercé, son pur lodato da voi ; o altri che, per voler fare un saltetto dietro al Tasso, discoprendo il tondo pelato con quanto di vergognoso s’appiatta sotto la coda, ha data assai piacevol materia al riso popolare. Hanno procurato di giustificarsi meco, affaticandosi inutilmente intorno a certe interpretazioni ridicole e puerili, come se noi non sapessimo assai meglio di loro che quando si vuol mordere si ricorre all’equivoco e si scherza col doppio, accioché possa in ogni caso il poeta lasciare il senso metaforico e salvarsi nella ritirata del proprio, giuocando come i zingari a «ch’eli’ è dentro e ch’eli’ è fuora». Io per me ne rimango quieto se non sodisfatto; e si come non curo altra giustificazione all’altrui perfidia che il giudicio del mondo, cosí non cerco altra vendetta alla mia offesa che quella istessa che ne fa il caso o che ne fanno piú tosto i propri libri loro, i quali, o non essendo letti o essendo letti con irrisione, terranno per sempre sepolte insieme con le glorie loro l’ ingiurie mie. Altro ci vuole per illustrarsi, che con discorsi spccolativi presumere di far paralelli e riscontri tra i suoi scartabelli e la Gerusalemme liberata , se poi alla prova le misure riescono corte e si fa come il gallo, che canta bene ma ruspa male, romanzando in uno stilaccio si sciagurato che pare appreso dagl’ improvisanti di Puglia o da’ pitocchi di Spoleto. L’importanza consiste nell’atto pratico e non nelle parole: bisogna sapere operare e porre ad effetto quel che si predica, perché molti conoscono il buono ma pochi l’attingono. E chi non è nato a questo, rivolgasi ad altri studi, ché il mondo può ben passarsela senza un poeta. Vaglia però a dire il vero, egli non si può negare che costoro de’ quali io parlo, se ben mancano nella felicitá dello stil poetico (ch’alia fine è dono piú di natura che d’arte), sono per altro nondimeno dotati di buona cognizione di belle lettere e di finezza di giudicio; e se questo talora s’inganna, se ne può recar la colpa all’affezione delle cose proprie. Il peggio è che vi ha certi giovanotti, i quali appena spoppati