Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/262

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questo secolo, dove si ritrova occupata la maggior parte delle bellezze principali, quando tra molte cose ordinarie si reca in mezo qualche dilicatura gentile. Ad arte ed a bello studio si può fare altresí per uno di questi tre capi: o a fine di tradurre, o a fine d’imitare, o a fine di rubare. Il tradurre (quando però non sia secondo l’usanza pedantesca) merita anzi loda che riprensione, né vi mancano essempi di moltissimi uomini egregi, i quali, come che per se stessi fussero fertilissimi ritrovatori, non hanno con tutto ciò lasciato anch’essi d’essercitarvesi. «Tradurre» intendo non giá vulgarizare da parola a parola ma con modo parafrastico, mutando le circostanze della ipotesi e alterando gli accidenti senza guastar la sostanza del sentimento originale. Ho tradotto senza dubbio anch’io talora per proprio passatempo e talora per compiacerne altrui, ma le mie tradozioni sono state solo dal latino o pur dal greco passalo nella latinitá e non da altro idioma, e sempre con le mentovate condizioni, se bene ancor questo sovvienimi aver fatto pochissime volte, e queste poche le riduco solamente a due canzoncine, trasportate da due elegie d’Ovidio e stampate nella terza parte della mia Lira , cioè a direi Trastulli estivi e V Incostanza d’amore. Qualora si prende da auttori noti non si può dubitare di ladroneccio, percioché son luoghi pulitici ed esposti a tutti gli occhi che non sien ciechi, onde si concedono a chi prima gli occupa, come le gemme sparse nel lido del mare. E si come Virgilio non arrossi di framettere nella sua Eneade i versi intieri d’Ennio e di Catullo, né altri lirici ed epici toscani si hanno recato ad onta di servirsi di quelli di Dante e del Petrarca, cosí chiunque da essi o da altri piglia a volgere in diversa lingua alcun passaggio piú lungo, presuppone che si sappia da coloro che son versati tra’ poeti né deve esserne chiamato usurpatore. Anche tra gridili della mia Sampogna un ve n’ha il quale a prima vista potrá forse parer traslato da altro linguaggio straniero, tuttoché il primo ed antico fonte da cui procedono amendue i nostri ruscelli sia Ovidio, e forse prima d’Ovidio alcun altro greco.

Io l’ho poi, se non m’inganno, aiutato, illustrato ed amplificato con diversi episodietti e descrizioni, onde quel che v’è