Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/266

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chi cosí non fa non può giamai, per mia stima, pervenire a capo di scrittura eccellente, perché la nostra memoria è debole e mancante, e senza questo aiuto di rado ci somministra perfettamente le cose vedute, quando l’opportunitá il richiede. Vero è che cotal repertorio ciascuno se l’ha a fare a suo capriccio e con quel metodo ordinario che ponno piú facilmente improntargli le materie quando le cerca. Gl’intelletti son diversi, e diversissimi gli umori degli uomini, onde ad uno piacerá tal cosa che dispiacerá ad un altro e taluno sceglierá qualche sentenza d’un auttore che da un altro sará rifiutata. Le statue antiche e le reliquie de’ marmi distrutti, poste in buon sito e collocate con bell’artificio, accrescono ornamento e maestá alle fabriche nuove. Perciò se secondo i precetti e le circostanze nel sopra citato discorso contenute, razzolando col detto ronciglio, ho pur commesso qualche povero furtarello, me ne accuso e me ne scuso insieme, poiché la mia povertá è tanta che mi bisogna accattar delle ricchezze da chi n’è piú di me dovizioso. Assicurinsi nondimeno cotesti ladroncelli che nel mare dove io pesco e dove io trafico essi non vengono a navigare, né mi sapranno ritrovar addosso la preda s’io stesso non la rivelo. F. almeno non mi potranno querelare ch’io abbia loro involato nulla, com’eglino hanno a me fatto; onde si possono ben vantare d’aver rubato a’ napoletani, che sono avvezzi a saper farlo altrui con sottilitá e con grazia. Stentino adunque col malanno tanto che svanisca loro il cervello nel capo e crepino le vene nel petto, se hanno desiderio di gloria e vogliono farsi onore. E se non hanno spirito atto a sapere inventar novitá, né dottrina da potere scrivere con fondamento, reveriscano e ammirino coloro che l’hanno, né credano per chiudere un sonettuzzo con una bella punta (il che pure alla fine hanno da me imparato) d’esser divenuti immortali, o per istrappazzare il mio nome doppo le spalle, di deprimer me e avantaggiare se stessi nella opinione del mondo. Ma io debbo di tutto ciò ridermi e dissimularlo, perché son fanciullacci piú tosto da scudisciar per burla a colpi di sonetti coduti che da confondere con salde ragioni. Se non ch’io mi ritrovo giá un pezzo fa avere appeso all’arpione lo staffil della satira,