Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/267

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né ho volontá di ripigliarlo se non son provocato piú che villanamente. Quanto poi alla caterva dozinale de’ pedanti muffi, de’ critici falliti e degli altri correttori delle stampe, che, non sapendo giainai per se medesimi produrre cosa di buono, fanno tuttavia professione di ficcare il grifo per tutto, crivellando gli scritti e tassando gli scrittori, non ce ne dobbiamo dolere, essendo questo il contrasegno della virtú ed il tocco del paragone. Non deve chi camina al monte della gloria per la stitichezza di quattro linguacciuti nasuti, a cui anche le rose putono, tralasciare il corso delle onorate fatiche che lo conducono alla eternitá. Si come i legni hanno i tarli che gli rodono, cosí i poeti hanno i censori che gli flagellano. E si come il vento australe è contrario alla serenitá, cosí della gloria è stato sempre nemico il livore. Ditemi, furono fors’eglino, nel biasimare gli altrui sudori o nel condannargli con perverso giudicio, piú modesti gli antichi di quel che si sieno i nostri? L’orazioni di Demostene ad alcuni parevano smunte ed asciutte, ad Eschine barbare, a Demade che olissero di lucerna. Quelle di Cicerone da Calvo erano stimate trite ed essangui, da Bruto dirotte e dislombate, da altri aride e secche: altri al contrario giudicavano il suo dire troppo turgido e gonfio, altri troppo lubrico e fluido, altri molle e ricercato, altri superstizioso, freddo negli scherzi e poco osservatore dell’antichitá. Didimo, grammatico alessandrino, scrisse volumi contro di lui: cosí parimente Gallo Asinio e Larzio Licinio. Contro Teofrasto scrisse una certa meretrice, la qual si raconta avergli data grandissima noia. Pollione notò in Livio, istorico di tanta eccellenza, alquante parole padovane. E il medesimo poi riprese Salustio, prencipe delle romane istorie, per avere usato un vocabolo in altra significanza che non portava la sua etimologia. Lucilio, che fu il primo (secondo che dicono) a fare il punteruolo e il postillatore dell’altrui fatiche, quanto acerbamente lacerò Euripide, Accio, Ennio, Pacuvio ed altri poeti classici del primo secolo? E pure Orazio riprende lui notandolo d’impuritá. Or come può mai chi scrive sodisfare a tanti appetiti, se non ha i sapori della manna che si affaceva con tutti i gusti? o come guardarsi da simili zanzare