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CLXXXVIII

Al medesimo

Discorre della galleria da lui raccolta a Napoli.


Quanto alle stampe d’Alberto fo sapere a V. S. che qui son molto piti rare e piú care che non sono per aventura costi, e non è molto che io ne viddi vendere un libro cinquecento franchi, che sono ducento ducati in circa, e pure non vi erano tutte l’opere del bolino, ma una parte e qualche pezzo d’intaglio in legno. Questa cosa mi ha fatto risolvere a non voler impacciarmi in carte oltramontane, ed ancorché io sommamente me ne diletti, mi sono contentato di averne quanto si può de’ maestri italiani; e certo con grossissime e diffusissime spese ne ho accumulato gran quantitá. Non parlo di dissegni alla mano e delle pitture ad oglio, perché creilo che non vi sia prencipe che in questo non mi ceda, e raffermo sicuramente. Spero adunque nella mia venuta di fare una galeria in Napoli forse non ordinaria, onde il signor Marciani ne avrá gusto.

Priego V. S. instantemente a voler pigliarsi briga di ritrovare il signor Cesare Chiara mio cognato, overo don Francesco suo figlio, i quali abitano alla porta picciola dell’arcivescovato, e dar loro conto della cagione c’ha differito il mio ritorno e del stato di mia salute. Dica di piú che sono ormai tre mesi ch’io mandai per via di Vinegia la scrittura che mi dimandavano circa il mio beneplacito per far ripigliare i denari al banco del Monte; ma non avendone mai piú ricevuta risposta, vo dubitando che non gli abbian presi per loro. Per Dio, hanno gran torto a farmi stentare tanto una lettera, poiché passano alle volte i sei mesi che non ho avviso né di loro né di quella mia povera sorella. Di grazia, mi scrivano e per via dello Scaglia e per via del Guinigi e per via dell’agente di Vinegia ed anche per via del signor Vannelli, se però V. S. vorrá prendersi fatica di indrizzar le lettere.