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XXII

Al medesimo

Invia rime, tra cui quelle sulla Gerusalemme liberata.


Ho piú volte avidamente lette le rime mandatemi da V. S. del signor Giovan Vincenzo Imperiali, e convienimi di esse ragionevolmente dire quel che giá della sua Beatrice diceva Dante:

Io non la vidi alcuna volta ancora, che non scorgessi in lei nova bellezza.

Gli mando un mio sonetto con l’alligata. Sará parte della gentilezza di V . S. presentarglielo e dirgli oltracciò a bocca ch’io l’escludo dall’obligo della risposta, percioché se bene io l’ammiro come poeta, lo riverisco nondimeno come eroe degno d’esser celebrato da penne di altra levatura che non è la mia.

Potrá anche V. S. far capitar l’inclusa al signor Chiabrera e rendergli fede quanto io lo stimi ed onori. Ho sciorinato poi non so che, si come potrá vedere, per la picciola Gerusalemme Ch’Ella mi disse di voler far imprimere. È sfigliatura, onde può vedere come io l’abbia piú tosto ubidita che servita. Prendalo in pegno di quel ch’io intendo di fare con piú ampie e publiche testimonianze, si come conviene all’affezione ch’io porto al suo valore ed all’obligo in cui mi ha messo la sua cortesia.

Direi ch’io sono ambizioso di qualche particella de’ miracoli della sua mano, ma sarebbe soverchio ardimento. Tuttavia per la buona occasione che mi si potrebbe rappresentare di servizio a V. S. con l’illustrissimo signor cardinale Aldobrandino mio signore, ardisco di supplicamela caldamente.

Con che resto baciandole affettuosamente le mani.

Di Roma [1604],