Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/49

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congregazione, de’ dugento o de’ cinquecento scudi (poiché giá vanno variando in piú maniere) non è vero e che tutte son trame per escludere i molti concorrenti proposti da diversi prencipi. Ora io prenderò di bel nuovo la parola del mio cardinale, e procurerò che V. S. abbia ordine di venire senza trattare altrimente del prezzo, perché poi di esso si tratterá fornita che sará l’opera. E so che non le sará fatto torto, se io potrò nulla, né credo che resterá men sodisfatta degli altri.

V. S. abbia per fermo che non si può piú. E se in altro conosce ch’io vaglia, mi comandi con quella libertá che sa di poter fare.

Nostro Signore la feliciti.

Di Roma [1604].

XXXI

Al medesimo

Ringrazia dell’invio della seconda Venere e attende al piú presto il Castello a Roma.

La Venere di V. S. mi è giunta tanto cara quanto disperata. E stata qui mirata e ammirata da molti di questi valentuomini, se bene non ancora dal signor cavalier Arpino, perché non ci è stato tempo. Procurerò che quanto prima la vegga.

Rendo a V. S. infinite grazie del favore, del quale si come sommamente godo cosí sommamente mi glorio, assicurandola ch’io serberò in perpetuo, non meno che la figura depinta, la memoria scolpita di tanta cortesia.

11 negozio della tavola è giá spedito, come a quest’ora credo avrá avuto a viso dal signor Rocca; onde la stiamo qui aspettando con ardentissimo disiderio. Al signor Imperiali ed al signor Cella mi raccomando in grazia, ed a V. S. bacio le mani, si come fa anche il signor Passignani, con grande affetto.

Di Roma [1604].