Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/53

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coverte di zucchero. È ben vero che, prevenuto dalla sua cortesia, non posso non arrossire ricordandomi della mala creanza commessa nel partirmi di costá senza salutarla. Ma io lasciai ordine al padron dell’albergo dove alloggiai l’ultima sera, che facesse la mia scusa con V . S., con cui ora e mi scuso e m’accuso insieme; onde la prego ch’ Ella per sua gentilezza il simil voglia fare in mio nome col signor conte Fortunato e col signor Fortuniano. Di me non ho altro che dirle se non ch’io ho qui attaccato giá il cuscinetto all’arpione e fermato il piede a bomba per questa estate; e rivolgendomi fra questi mustacci cagneschi colla memoria ricca di coteste bellezze parmigiane, rimango confuso conte rimase Deucalione fra coloro che li nascevano dietro (se però la somiglianza corre bene, stante la differenza della postura).

Se il negozio che V. S. ha in Roma è cosa ch’io per via d’amici possa trattar di qua, me ne faccia motto, ché non mancherò di servirla con ogni mia diligenza pari al suo merito, ché dir davantaggio non si può.

Ho scritto al signor Francesco Stelluti costi in risposta d’una sua, e se V. S. vorrá da mia parte dare un «schiavo di V. S.» alla napolitana al signor capitano Gian Francesco Tomasoni, la memoria registrerá il favore nel libro dell’anima, per assicurar il credito suo con l’obligo mio.

M’è capitata una lettera del signor cavalier Zurlini; ma io non sono in tutto fuor di sospetto che non sia finta da qualche bello umore, perché non posso persuadere a me stesso tanta felicitá. Vorrei che V. S. con bel modo investigasse destramente la veritá di questa facenda, ed in fin a tanto ch’io non averò sua risposta non mi risolverò di mandargli quel che mi chiede.

Di Ravenna [febbraio 1605].